Nato ad Olbia il 23 marzo 1933, Gustavo Giagnoni inizia ad imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica all’inizio degli anni ’60 come sapiente regista di quello che tutti chiamano “Brasilmantova”. Dopo aver militato nell’Olbia e nella Reggiana, ai virgiliani regala dieci anni di grande calcio stabilendo un legame indissolubile con l’intera città.
Terminata l’attività agonistica decide di intraprendere quella di tecnico. L’inizio è folgorante: nel 1971 guadagna la serie A alla guida del suo Mantova e l’anno successivo passa al Torino. Per un grintoso come lui l’ambiente granata si rivela immediatamente quello ideale per esprimere il suo calcio. Fin da subito è lampante che all’allenatore venuto dalla Sardegna piace lavorare con i giovani cercando di migliorarne le qualità tecniche. Nei primi tempi passa ore ed ore a cercare di razionalizzare il gioco di un certo Paolino Pulici, uomo dotato di grandi mezzi fisici ma incapace di tramutare in gol tutto il gioco da lui svolto. Dopo un paio di mesi il giocatore si trasformerà in uno degli attaccanti più implacabili degli anni settanta.
Immediatamente la tifoseria lo adora, anche perché con lui, per la prima volta dopo Superga, i granata lottano seriamente per conquistare lo scudetto. Diventa un eroe dopo la vittoria nel derby di ritorno del campionato 1971-72. È il suo atteggiamento combattivo a farlo entrare nei cuori della “Philadelphia”.
Nella circostanza il tecnico, dopo un brutto fallo di Francesco Morini su Rosario Rampanti non sanzionato dall’arbitro Monti di ancona con l’espulsione, lascia il campo per protesta. La rabbia è tanta, ma il risultato finale e il tentativo di ammansirlo portato avanti dal presidente Orfeo Pianelli ne calmano i bollori. In conferenza stampa il sardo ci va tranquillo, ma come si sa i giornalisti …! All’ennesima domanda riguardante l’episodio Morini-Rampanti, Giagnoni risponde, guardando un cartellone pubblicitario esposto in spogliatoio, e su tutti i muri delle città:
La battuta di spirito gli costa un mese di squalifica ma gli guadagna definitivamente l’amore della tifoseria che ha visto l’ennesimo soppruso subito per favorire gli odiati cugini.
Dopo tre anni trascorsi sulla panchina del Torino, il presidente del Milan Albino Buticchi lo chiama su quella rosso-nera nel 1974, all’indomani della fallimentare stagione seguita al Ko di Verona.
Giagnoni ha in mano una rosa rinnovata e rafforzata dagli arrivi di Enrico Albertosi, Luciano Zecchini, Aldo Bet e del promettente attaccante Egidio Calloni. Tuttavia, pur avendo la squadra dalla sua parte, la stagione 1974-75 è quanto meno burrascosa per i colori rosso-neri. Tutto parte dalle dichiarazioni del presidente Albino Buticchi il quale arriva ad ipotizzare uno scambio col Torino tra Gianni Rivera e Claudio Sala. Rivera, simbolo assoluto del Milan si ribella, si fa negare e si presenta in sede dopo quattro giorni. Duro faccia a faccia con Buticchi e poi conferenza stampa riappacificatoria.
Giagnoni, però, è uomo rigoroso e la partita successiva decide di lasciare in panchina la stella milanista il quale, pur comprendendone i motivi, accetta la decisione a denti stretti. Il tecnico si trova comunque in mezzo alla bufera: i rapporti tra Rivera e il presidente si fanno sempre più tesi tanto che il petroliere decide di metterlo fuori rosa all’indomani della gara casalinga contro la Lazio ben giocata dalla mezzala su un terreno impossibile. A questo punto la tifoseria insorge contro la società e contro il tecnico reo, secondo i sostenitori, di essersi schierato con la dirigenza. Conquistato comunque un posto nella Coppa Uefa 1975-76, il tecnico sardo porta il Milan alla finale di Coppa Italia anche senza il suo capitano storico, il quale, nel frattempo, forte dell’appoggio della piazza, sta cercando di trovare chi rilevi la società cacciando Buticchi.
A fine luglio Giagnoni è ancora sulla panchina rossonera, imposta la preparazione, supera il primo turno di coppa Italia e quello di Coppa Uefa, ma poi è costretto a passare la mano. Il pandemonio estivo ha dato i suoi frutti: Rivera si mette a capo di una cordata diventando per un breve periodo il presidente della sua squadra. Richiamato il suo padre putativo Nereo Rocco, la conduzione tecnica viene affidata a Giovanni Trapattoni. A questo punto per Giagnoni inizia un continuo peregrinare in società in cerca di continuo riscatto. Cagliari, Roma, Pescara e di nuovo Cagliari, dove retrocede nonostante i 26 punti conquistati sono le tappe successive della carriera di un galantuomo al quale il grande calcio troppo spesso ha chiuso le porte in faccia.