La settimana che precede l’inizio del girone di ritorno di questo splendido campionato è caraterizzata dal susseguirsi degli incidenti legati all’occupazione delle università. Per le strade si rivedono i cortei di sessantottina memoria, ma lo spirito innovativo che ha portato a cambiare il mondo dieci anni prima sta morendo. Ora si rimestano concetti triti e ritriti e quando tutto sarà finito, come vedremo in modo tragico, si aprirà l’epoca dell’edonismo più sfrenato!
L’unica cosa certa che sappiamo riguardo agli anni settanta, passati alla storia come “gli anni di piombo” è il numero di morti in atentati, agguati ed incidenti nelle manifestazioni di piazza, sia nelle file delle forze dell’ordine, sia in quelle dei terroristi. Ma che cosa ci sia dietro a tutto questo non è ancora chiaro! Vi sono ancora storie insolute, o peggio fatti di sangue rimasti impuniti, di cui la verità non è mai venuta a galla, nonostante lunghe indagini. L’11 febbraio proprio la verità vince una sua battaglia. La Corte costituzionale accoglie il ricorso del giudice Luciano Violante contro il segreto di stato posto dal governo Moro sul
Golpe bianco di Edgardo Sogno.
In giro per il mondo, invece , c’è chi i colpi di stato li fa sul serio! Nello stesso giorno in Etiopia, Hailè Mariam Menghistu diviene presidente del paese dopo aver preso il potere con la forza.
Intanto la fase discendente del campionato ha un prologo: costretto ad emigrare per la nota squalifica, il Napoli sceglie di affrontare il Catanzaro allo Stadio Olimpico. Il campo, però, è forzatamente occupato da una delle due squadre romane e pertanto si rende necessario disputare il match con un giorno d’anticipo.
L’unica cosa certa che sappiamo riguardo agli anni settanta, passati alla storia come “gli anni di piombo” è il numero di morti in atentati, agguati ed incidenti nelle manifestazioni di piazza, sia nelle file delle forze dell’ordine, sia in quelle dei terroristi. Ma che cosa ci sia dietro a tutto questo non è ancora chiaro! Vi sono ancora storie insolute, o peggio fatti di sangue rimasti impuniti, di cui la verità non è mai venuta a galla, nonostante lunghe indagini. L’11 febbraio proprio la verità vince una sua battaglia. La Corte costituzionale accoglie il ricorso del giudice Luciano Violante contro il segreto di stato posto dal governo Moro sul
Golpe bianco di Edgardo Sogno.
In giro per il mondo, invece , c’è chi i colpi di stato li fa sul serio! Nello stesso giorno in Etiopia, Hailè Mariam Menghistu diviene presidente del paese dopo aver preso il potere con la forza.
Intanto la fase discendente del campionato ha un prologo: costretto ad emigrare per la nota squalifica, il Napoli sceglie di affrontare il Catanzaro allo Stadio Olimpico. Il campo, però, è forzatamente occupato da una delle due squadre romane e pertanto si rende necessario disputare il match con un giorno d’anticipo.
ANTICIPO 16a GIORNATA: sabato 12 febbraio 1977
Napoli – Catanzaro 1-0
60′ Chiarugi
I campani vendicano la sconfitta di Firenze rimettendosi quanto meno in corsa per un posto in coppa UEFA, visto l’enorme svantaggio accumulato dalle due di testa.
16a GIORNATA: domenica 13 febbraio 1977
Bologna – Verona 0-0
Fiorentina – Cesena 2-1
33′ Caso, 53′ Zuccheri, 59′ Pepe (CE)
Inter – Foggia 1-1
2′ Pavone (IN), 81′ Pirazzini
Juventus – Lazio 2-0
40′ Tardelli, 78′ Boninsegna rig.
Perugia – Milan 3-1
15′ Vannini, 54′ Novellino, 79′ Cinquetti rig., 89′ Rivera (MI)
Roma – Genoa 1-0
6′ Musiello
Sampdoria – Torino 2-3
21′ e 31′ Graziani, 50′ Bresciani (SA), 70′ Graziani, 90′ Zecchini (SA)
CLASSIFICA:
Juventus e Torino 27; Fiorentina e Inter 20; Napoli 19; Perugia e Roma 16; Lazio e Verona 15; Genoa 14; Catanzaro e Milan 13; Bologna, Foggia e Sampdoria 11; Cesena 8.
Juventus e Torino proseguono il loro campionato a sè stante condotto a ritmi da record. Ora il vantaggio sulle immediate inseguitrici è salito a 7 punti. Continua anche la crisi del Milan crollato a Perugia. È ormai lampante che il lavoro di Rocco non sarà per niente semplice.
Il 15 febbraio lo Stato mette a segno un colpo a suo favore nella lotta contro il crimine. A
Roma viene arrestato il bandito Renato Vallanzasca, autore di rapine, sequestri e omicidi.
Tuttavia deve preoccupare quanto acade due giorni dopo, allorché diventa palese lo scollamento tra i partiti e gli apparati sindacali ufficiali di sinistra e proprio coloro che questi dovrebbero rappresentare.
Il 17 febbraio LucianoLama, segretario della CGIL, pure lui protagonista dell’accordo con il governo e gli imprenditori per la sterilizzazione della scala mobile,
decide di celebrare un congresso tenendo un comizio all’Università La Sapienza di Roma. L’intenzione di Lama è quella di isolare le frange estreme violente ed equivoche di “Autonomia”, aprendo loro sbocchi politici attraverso l’alleanza del sindacato.
Le cose, invece, vanno in modo completamente differente; lasciamo raccontare alle cronache dell’epoca, in particolare ad un articolo scritto dal giornalista Carlo Rivolta e apparso il 19 su “La Repubblica” che cosa sia successo quel giovedì mattina davanti all’ateneo capitolino.
Il 15 febbraio lo Stato mette a segno un colpo a suo favore nella lotta contro il crimine. A
Roma viene arrestato il bandito Renato Vallanzasca, autore di rapine, sequestri e omicidi.
Tuttavia deve preoccupare quanto acade due giorni dopo, allorché diventa palese lo scollamento tra i partiti e gli apparati sindacali ufficiali di sinistra e proprio coloro che questi dovrebbero rappresentare.
Il 17 febbraio LucianoLama, segretario della CGIL, pure lui protagonista dell’accordo con il governo e gli imprenditori per la sterilizzazione della scala mobile,
decide di celebrare un congresso tenendo un comizio all’Università La Sapienza di Roma. L’intenzione di Lama è quella di isolare le frange estreme violente ed equivoche di “Autonomia”, aprendo loro sbocchi politici attraverso l’alleanza del sindacato.
Le cose, invece, vanno in modo completamente differente; lasciamo raccontare alle cronache dell’epoca, in particolare ad un articolo scritto dal giornalista Carlo Rivolta e apparso il 19 su “La Repubblica” che cosa sia successo quel giovedì mattina davanti all’ateneo capitolino.
“L’ama o non Lama non Lama nessuno”,
Le otto del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di pioggia, gli schieramenti nell’Università erano giá formati, anche se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il servizio d’ordine del sindacato e del Pci con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca, qualche giovane della Fgci, molte persone un po’ attempate, due o tre tute blu, presidiava la piazza del comizio. Armati di pennelli e vernice sindacalisti e comunisti cancellavano le scritte degli “indiani metropolitani” (l’ala “creativa” del movimento composta essenzialmente da militanti dei circoli del proletariato giovanile) Prima fra tutte una a caratteri cubitali accanto ai cancelli principali dell’ateneo: “I Lama stanno nel Tibet “. Gli “indiani” dal canto loro non restavano a guardare. Su una scala di quelle da biblioteca (con le ruote e un palchetto con ringhiere) avevano piazzato un fantoccio a grandezza naturale
in polistirolo che doveva rappresentare il leader dei sindacati. Circondato da palloncini portava appesi tanti grandi cuori. C’era scritto: “L’ama o non
Lama”. “Non Lama nessuno” e altri giochi di parole del genere. I sindacalisti e il servizio d’ordine del Pci erano perplessi, qualcuno sorrideva bonariamente: “Sono goliardi, non bisogna farci caso” Qualcun altro invece giá alla vista del fantoccio si era innervosito: “È una provocazione inammissibile, Lama è
un leader dei lavoratori”. Il clima intanto si andava surriscaldando. Intorno al “carroccio degli indiani” (ma c’erano dietro anche tutti gli altri collettivi, i militanti dei gruppi e un paio di rappresentanti del Fuori), il servizio d’ordine del Pci aveva steso un cordone sanitario che ritagliava una larga fetta della piazza. La gente cominciava ad affluire, erano circa le 9 del mattino, e gli indiani pigiavano sul pedale dell’ironia e del sarcasmo, anche pesante.
“Piú lavoro, meno salario”, “Andreotti é rosso, Fanfani lo sará”, “Lama é mio e lo gestisco io”, “Il capitalismo non ha nazione, l’internazionalismo é la produzione”, “Piú baracche, meno case”, “É ora, é ora, miseria a chi lavora”, “Potere padronale”, “Ti prego Lama non andare via, vogliamo ancora tanta polizia”, erano gli slogan piú scanditi (…) Luciano Lama è entrato nell’Università con una grande puntualità. Circondato da una decina di tute blu, che
lo rendevano quasi invisibile, è passato rapido tra la folla nel viale che porta a piazza della Minerva, ha attraversato la piazza nel varco lasciato libero dai servizi d’ordine ed è arrivato al palco, un camion parcheggiato diagonalmente nello spiazzo fra le aiuole della facoltà di Legge e il rettorato. Dagli altoparlanti le note delle solite marce da comizio non riuscivano a soffocare gli slogan ironici degli “indiani”. Il clima a quel momento era arrivato
quasi al punto di rottura. Le contraddizioni fra due mondi completamente diversi ed estranei, quello dei sindacati e dell’ortodossia comunista e quello della creatività obbligatoria, non avevano trovato neanche un punto di incontro, neanche un modo di evitare insulti reciproci. Erano ormai due blocchi contrapposti e nemici: la pentola in ebollizione da un paio d’ore era ormai sul punto di scoppiare. (…)
Alle 10 del mattino Lama ha iniziato il suo comizio mentre crescevano le proteste, gli slogan si facevano piú violenti. “Il Corriere della Sera ha scritto
che saremmo venuti qui con i carri armati, si è sbagliato, noi siamo qui … “.
Dal carroccio degli indiani a questo punto sono partiti dei palloncini: pieni di acqua colorata e vernice. Nel servizio d’ordine del Pci c’é stato un attimo
di sbandamento. Qualcuno deve aver pensato che si trattasse di qualcosa di pericoloso, molti si sono infuriati quando la vernice è piovuta sulla testa della gente. E’ partita allora una carica per espugnare il carroccio degli indiani. Travolta “l’ala creativa” del movimento, il servizio d’ordine del Pci, che ormai aveva raggiunto il fantoccio di Lama, è entrato in contatto con l’ala “militante”. Sono volati pugni, schiaffi, calci, poi il carroccio è tornato
in mano agli occupanti dell’Università che lo hanno usato come ariete per controcaricare. A questo punto uno dei capi del servizio d’ordine della federazione romana del Pci ha usato un estintore contro i militanti dei collettivi. La nuvola bianca di schiuma è stata il segnale di partenza della rissa piú selvaggia.
Mentre Luciano Lama continuava il suo discorso al centro della piazza, fra i due schieramenti ormai era un continuo avanzare e arretrare a pugni e botte. Poi dal fondo, verso la facoltà di Lettere, contro il servizio d’ordine del Pci, sono volate patate, pezzi di legno e qualche pezzo d’asfalto. Lama ha concluso il suo discorso alle 10,30, mentre nella piazza in tumulto molti fuggivano, molti, soprattutto sindacalisti, restavano a guardare attoniti, alcuni
cercavano disperati di dividere i contendenti, qualcuno giá piangeva urlando. “Basta, basta, non ci si picchia fra compagni”. Dopo Lama saliva sul palco Vettraino, della Camera del lavoro di Roma. “Compagni” ha tuonato, “la manifestazione é sciolta. Non accettiamo provocazioni”. L’ultima parola é stata
quasi un segnale. Un’ultima carica violentissima ha spazzato via il servizio d’ordine del Pci e dei sindacati che ha protetto il deflusso dei suoi militanti.
Il camion è stato capovolto, distrutto, poi si sono scatenate le risse. (…)
Le otto del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di pioggia, gli schieramenti nell’Università erano giá formati, anche se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il servizio d’ordine del sindacato e del Pci con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca, qualche giovane della Fgci, molte persone un po’ attempate, due o tre tute blu, presidiava la piazza del comizio. Armati di pennelli e vernice sindacalisti e comunisti cancellavano le scritte degli “indiani metropolitani” (l’ala “creativa” del movimento composta essenzialmente da militanti dei circoli del proletariato giovanile) Prima fra tutte una a caratteri cubitali accanto ai cancelli principali dell’ateneo: “I Lama stanno nel Tibet “. Gli “indiani” dal canto loro non restavano a guardare. Su una scala di quelle da biblioteca (con le ruote e un palchetto con ringhiere) avevano piazzato un fantoccio a grandezza naturale
in polistirolo che doveva rappresentare il leader dei sindacati. Circondato da palloncini portava appesi tanti grandi cuori. C’era scritto: “L’ama o non
Lama”. “Non Lama nessuno” e altri giochi di parole del genere. I sindacalisti e il servizio d’ordine del Pci erano perplessi, qualcuno sorrideva bonariamente: “Sono goliardi, non bisogna farci caso” Qualcun altro invece giá alla vista del fantoccio si era innervosito: “È una provocazione inammissibile, Lama è
un leader dei lavoratori”. Il clima intanto si andava surriscaldando. Intorno al “carroccio degli indiani” (ma c’erano dietro anche tutti gli altri collettivi, i militanti dei gruppi e un paio di rappresentanti del Fuori), il servizio d’ordine del Pci aveva steso un cordone sanitario che ritagliava una larga fetta della piazza. La gente cominciava ad affluire, erano circa le 9 del mattino, e gli indiani pigiavano sul pedale dell’ironia e del sarcasmo, anche pesante.
“Piú lavoro, meno salario”, “Andreotti é rosso, Fanfani lo sará”, “Lama é mio e lo gestisco io”, “Il capitalismo non ha nazione, l’internazionalismo é la produzione”, “Piú baracche, meno case”, “É ora, é ora, miseria a chi lavora”, “Potere padronale”, “Ti prego Lama non andare via, vogliamo ancora tanta polizia”, erano gli slogan piú scanditi (…) Luciano Lama è entrato nell’Università con una grande puntualità. Circondato da una decina di tute blu, che
lo rendevano quasi invisibile, è passato rapido tra la folla nel viale che porta a piazza della Minerva, ha attraversato la piazza nel varco lasciato libero dai servizi d’ordine ed è arrivato al palco, un camion parcheggiato diagonalmente nello spiazzo fra le aiuole della facoltà di Legge e il rettorato. Dagli altoparlanti le note delle solite marce da comizio non riuscivano a soffocare gli slogan ironici degli “indiani”. Il clima a quel momento era arrivato
quasi al punto di rottura. Le contraddizioni fra due mondi completamente diversi ed estranei, quello dei sindacati e dell’ortodossia comunista e quello della creatività obbligatoria, non avevano trovato neanche un punto di incontro, neanche un modo di evitare insulti reciproci. Erano ormai due blocchi contrapposti e nemici: la pentola in ebollizione da un paio d’ore era ormai sul punto di scoppiare. (…)
Alle 10 del mattino Lama ha iniziato il suo comizio mentre crescevano le proteste, gli slogan si facevano piú violenti. “Il Corriere della Sera ha scritto
che saremmo venuti qui con i carri armati, si è sbagliato, noi siamo qui … “.
Dal carroccio degli indiani a questo punto sono partiti dei palloncini: pieni di acqua colorata e vernice. Nel servizio d’ordine del Pci c’é stato un attimo
di sbandamento. Qualcuno deve aver pensato che si trattasse di qualcosa di pericoloso, molti si sono infuriati quando la vernice è piovuta sulla testa della gente. E’ partita allora una carica per espugnare il carroccio degli indiani. Travolta “l’ala creativa” del movimento, il servizio d’ordine del Pci, che ormai aveva raggiunto il fantoccio di Lama, è entrato in contatto con l’ala “militante”. Sono volati pugni, schiaffi, calci, poi il carroccio è tornato
in mano agli occupanti dell’Università che lo hanno usato come ariete per controcaricare. A questo punto uno dei capi del servizio d’ordine della federazione romana del Pci ha usato un estintore contro i militanti dei collettivi. La nuvola bianca di schiuma è stata il segnale di partenza della rissa piú selvaggia.
Mentre Luciano Lama continuava il suo discorso al centro della piazza, fra i due schieramenti ormai era un continuo avanzare e arretrare a pugni e botte. Poi dal fondo, verso la facoltà di Lettere, contro il servizio d’ordine del Pci, sono volate patate, pezzi di legno e qualche pezzo d’asfalto. Lama ha concluso il suo discorso alle 10,30, mentre nella piazza in tumulto molti fuggivano, molti, soprattutto sindacalisti, restavano a guardare attoniti, alcuni
cercavano disperati di dividere i contendenti, qualcuno giá piangeva urlando. “Basta, basta, non ci si picchia fra compagni”. Dopo Lama saliva sul palco Vettraino, della Camera del lavoro di Roma. “Compagni” ha tuonato, “la manifestazione é sciolta. Non accettiamo provocazioni”. L’ultima parola é stata
quasi un segnale. Un’ultima carica violentissima ha spazzato via il servizio d’ordine del Pci e dei sindacati che ha protetto il deflusso dei suoi militanti.
Il camion è stato capovolto, distrutto, poi si sono scatenate le risse. (…)
D’ora in avanti è chiaro che una vasta fascia della popolazione non si riconosce più nella sinistra italiana e, non avendo riferimenti politici ufficiali, costituirà un grave pericolo in quanto si tratta di cani sciolti che agiscono senza un preciso piano strategico.
Nel momento in cui ha toccato il vertice di consensi mai raggiunto, per la sinistra è iniziata la fine!