provincia di Brescia, il 2 settembre 1897. Ordinato sacerdote nel 1920, diventa quasi
subito uomo di Curia dentro la Segreteria di Stato del Vaticano, sebbene mai formalmente
come segretario di Pio XII.
Anche la sua nomina ad arcivescovo di Milano nel 1954 per volere di Pio XII, presenta
qualche anomalia in quanto ottenuta senza cappello cardinalizio, tanto da farla sembrare
un allontanamento dal principale centro di potere della Chiesa. La nomina gli viene
conferita nel 1958 da Giovanni XXIII al quale succede come Papa il 21 giugno 1963.
Per lui e per la Chiesa cattolica si apre un pontificato durato più di quindici anni. E’
una successione difficilissima perché, lui uomo di curia, non possiede nè la simpatia e
nemmeno il calore di quel “curato di campagna” che è stato papa Roncalli. Paolo VI,
invece, è semprestato considerato gelido, amletico, dubbioso e pieno di tormenti, tanto da
essere soprannominato “Paolo Mesto” giocando sulle parole “Paolo Sesto”.
Dopo – le prime in assoluto – uscite di Papa Giovanni dalle mura vaticane per recarsi
fuori Roma, è proprio Paolo VI ad inaugurare l’usanza dei viaggi anche all’estero, in
ogni angolo del mondo. Lo stesso, però, è anche il Papa che si è trovato a dover gestire i
momenti più difficili e delicati del dissenso cattolico in Italia. Compresi tutti gli
altri fermenti
dentro la società contemporanea.
È nella Chiesa però, che avvengono veri e propri atti di ribellione dei fedeli – senza
precedenti – alla struttura gerarchica e al potere della Chiesa già descritti negli
scorsi anni: Don Mazzi, Don Milani e Don Giussani.
Non si può nemmeno dimenticare infine il travaglio vissuto da Paolo VI nell’impervio
cammino
di due importanti e storiche leggi di questo periodo: quella del divorzio e quella dell’
aborto a causa del suo tradizionalismo ortodosso, nonostante tanti slanci di solidarismo.
Si sono evitate le vere e proprie “guerre di religione” nelle piazze anche grazie al
consenso dei comunisti, ma le battaglie dentro le segreterie dei partiti sono state
all’ultimo sangue. Le più feroci sono avvenute dentro lo stesso partito che aveva emblema
proprio la croce cristiana. Paradossalmente sia i democristiani, sia i comunisti hanno
temuto di perdere l’elettorato. Entrambe le due questioni, e soprattutto poi i risultati,
hanno addolorato profondamente Paolo VI, l’uomo del dialogo ad ogni costo proprio
con “il popolo di Dio” del mondo contemporaneo indicatogli da Giovanni XXIII, soprattutto
con il contenuto della enciclica Mater et magistra e con la temeraria Pacem in terris, in
cui ha fatto crollare muraglie e preconcetti secolari appellandosi a intese e
collaborazioni con i non credenti. Invece ha dovuto vivere il periodo
forse più drammatico della Chiesa sul piano non solo dottrinale ma etico. Una sua frase
esprime in un modo non solo metaforico questo grande travaglio:
Il 26
marzo del 1967, infatti, Paolo VI promulga l’enciclica Populorum pregressio, chiaramente
impostata sulla base offerta dalle due grandi encicliche giovannee, nella quale ribadisce
la “questione sociale” (persona umana, lavoro, proprietà), temi riconsiderati alla luce
delle nuove dimensioni “che è oggi mondiale”.
Nel 1975 indice l’Anno Santo, che porta circa 8.500.000 pellegrini a Roma. Preoccupato
delle dissidenze di destra e di sinistra in seno alla Chiesa, perviene infine alla
sospensione a divinis del vescovo tradizionalista M. Lefebvre e alla riduzione allo stato
laicale dell’ex abate di San Paolo don Franzoni, fondatore di una Comunità di base di
ispirazione socialista. L’ultimo periodo della sua vita, reso difficile da una salute
malferma, è rattristato
profondamente dal rapimento del suo amico fraterno Aldo Moro. Appare per l’ultima volta in
pubblico proprio per i suoi funerali morendo tre mesi dopo, il 6 agosto nella residenza di
Castelgandolfo.