Da alcune stagioni è l’uomo più prolifico della Juventus, società nella quale è arrivato al grande calcio da ragazzino. Roberto Bettega, infatti, nasce a Torino il 27 dicembre del 1950 e, dopo una buona militanza nelle giovanili, nel 1968-69 viene aggregato alla prima squadra.
La stagione successiva viene mandato a “farsi le ossa” in serie B nelle file del Varese dove incontra Niels Liedholm, l’uomo che riesce a farlo convinto d’essere un campione. Segna 13 reti e trascina i lombardi in serie A. Naturale a questo punto il suo ritorno a Torino, dove la società, sotto la gestione del duo Allodi-Boniperti, sta portando avanti un progetto basato sulla valorizzazione di giovani talenti da affidare ad un tecnico emergente: Armando Picchi. Con lui ci sono Antonello Cuccureddu, Franco Causio, Luciano Spinosi e Fabio Capello, tutti illuminati in campo dal genio di Helmut Haller. Bettega si trova a far coppia in attacco con Pietro Anastasi, vero rapinatore d’area. Il giovane non si intimorisce e mette in mostra tutte le sue doti: abile di testa, capace tecnicamente, dimostra anche un’incredibile visione di gioco che gli permette di essere sempre nel vivo della manovra offensiva della squadra. I primi due anni sono un crack, almeno fino a quando una devastante bronco-polmonite rischia di porre fine alla sua carriera, nonché alla sua vita.
L’arrivo di Josè Altafini nel 1972 e la continuità di rendimento di Anastasi sembrano precludergli gli spazi, ma Bettega, una volta tornato in forma, si rivela elemento indispensabile al gioco bianco-nero e a contendersi il posto saranno altri!
Sfiora la Coppa dei campioni nel 1973 e deve inchinarsi alla Lazio campione l’anno successivo.
Dopo il disastro azzurro ai mondiali in Germania Ovest, Bettega diventa uno dei calciatori sui quali Bernardini conta per ricostruire una nazionale degna di quella che ha sfiorato il mondiale in Messico. Ancora una volta deve sgomitare per guadagnarsi il posto: sono gli anni in cui impazza Giorgio Chinaglia e soprattutto la coppia granata Graziani-Pulici, un mix perfetto d’intelligenza e potenza fisica capace di garantire oltre 30 reti a stagione in un periodo in cui i gol piovono come l’acqua nel deserto.
Lo juventino, però, è uomo che non fa polemiche e che sa attendere il suo momento. Con l’inizio delle qualificazioni al mondiale d’Argentina entra stabilmente nella formazione titolare. Così come nella Juventus, il giocatore segna a raffica trascinando gli azzurri alla qualificazione.
In terra sud’americana raggiunge probabilmente il vertice della sua carriera, diventando, assieme a Paolo Rossi, il finalizzatore principe di una squadra che gioca probabilmente il miglior calcio dell’intera competizione iridata. Solo un calo fisico generale e qualche decisione discutibile contro l’Olanda, impediscono agli azzurri e a Bettega stesso di conquistare il massimo traguardo.
Nella stagione successiva Bettega inizia alla grande, ma un po’ come accade alla sua Juventus, le scorie del mondiale e di due anni di successi si fanno sentire e alla fine è solo terzo posto con Bettega autore di sole nove reti.
L’anno successivo va ancora peggio: la squadra non gira chiudendo il girone d’andata a centro classifica, e Bettega vede il suo posto in azzurro messo in pericolo dai giovani Rossi e Giordano, che assieme costituiscono un duo di piccoletti al fulmicotone.
Nel girone di ritorno Bettega risorge assieme alla sua Juventus e nell’anno dello scandalo scommesse che mette fuorigioco i due giovani talenti, conquista il titolo di capocannoniere e il posto in azzurro, in vista degli imminenti campionati d’Europa organizzati proprio dal nostro Paese.
La competizione continentale, terminata al quarto posto, si rivela una mezza delusione. Eccezion fatta per la bella vittoria ottenuta contro l’Inghilterra, gli azzurri non esprimono gioco e Bettega chiude la manifestazione senza aver realizzato un gol.
L’astenia da reti continua anche nel campionato seguente (il primo degli anni ottanta), ma nonostante i soli 5 sigilli stagionali, la Juventus conquista il suo diciannovesimo titolo. Le cose sembrano andare in maniera decisamente opposta nel campionato 1981-82: Bettega apre con una tripletta e dopo sei giornate, coronate da altrettante vittorie della sua Juve, ha già segnato cinque volte. Il fato, tuttavia, è dietro l’angolo: dopo la sconfitta subita in casa dalla Roma per 1 a 0, i Campioni d’Italia si recano in Belgio per affrontare l’Anderlecht. Un intervento assassino del portiere Munaron devasta i legamenti del giocatore. Per lui questa è l’ultima presenza stagionale. Fa di tutto per recuperare in vista del mondiale, assiste dalla tribuna alla conquista dello scudetto della seconda stella da parte della sua Juventus, ma i mondiali spagnoli dovrà seguirli dalla televisione. Al suo posto parte tale Franco Selvaggi che avrà la soddisfazione di far parte del gruppo che alzerà la Coppa del Mondo nella magica notte del Bernabeu, mentre Bettega, che quella squadra ha contribuito fattivamente a portare in Spagna, assiste allo spettacolo come molti di noi.
La stagione successiva si preannuncia ricca di soddisfazioni: alla Juventus arrivano gli assi Michel Platini e Zbignew Boniek, i quali dovrebbero completare un organico ricco di campioni del mondo facendone un’armata invincibile. Invece le scorie del mondiale e il difficile ambientamento dei due fuoriclasse stranieri modificano i piani di sfracelli. La Juventus zoppica in campionato, ma vola in Coppa dei campioni. Nella seconda parte della stagione, la squadra cresce fisicamente, Platini inizia ad esprimersi a livelli da re e gli uomini allenati da Trapattoni arrivano addirittura ad insidiare il trono della Roma di Falçao che vince lo scudetto. Alla fine è secondo posto col miglior attacco.
Con giocatori come Rossi, Platini e Boniek Bettega deve mutare il suo gioco, cosa che gli riesce magnificamente rivelandosi un ottimo suggeritore. Tutti assieme raggiungono la finale di Coppa dei campioni ad Atene. Contrariamente a dieci anni prima, quando di fronte c’era la grande Ajax, questa volta i piemontesi partono con i favori del pronostico. In Grecia, infatti, arriva l’Amburgo, compagine formata da campioni a fine carriera guidata in panchina da Hernst Happel, uno che ha sempre fatto del male al calcio italiano. Questa volta, però, tutto sembra propendere a favore di un successo juventino in quella che è diventata una maledizione. Al 12’, però, le cose si mettono male: Felix Magath, talentuosa mezz’ala, batte Zoff con una gran bordata da fuori area, tale Rolff annulla Platini e Bettega non riesce a pungere. Alla fine la Juventus vive una delle delusioni più cocenti della sua storia. La coppa Italia conquistata contro la rivelazione Verona serve solo a mitigare l’amarezza.
Per lui c’è anche un’ultima convocazione in nazionale: in Romania la formazione azzurra si gioca le residue speranze di accedere al campionato europeo di calcio organizzato dalla Francia nel 1984 e Bearzot, che ha visto i grandi progressi dell’esperto bomber, lo convoca per tentare l’impresa. Un gol di Boloni, invece, pone fine ad ogni velleità.
A 33 anni Bettega comprende che per lui lo spazio alla Juventus è poco e decide di emigrare, accettando le proposte dei Toronto Blizard, compagine che partecipa alla NASL, prendendo idealmente l’eredità di Giorgio Chinaglia che in estate, rilevata la presidenza della Lazio, dà l’addio al calcio giocato.
Disputa due campionati, ma un terribile incidente d’auto nell’inverno del 1984, mentre si trova in Italia per trascorrere le vacanze, pone fine definitivamente alla sua carriera.
Entra a far parte del mondo Juventus, come osservatore prima, e come dirigente dal 1994 al 2006 lavorando a fianco di Luciano Moggi e Giraudo, diventando il volto pulito della famigerata triade che molti sostengono aver falsato l’ambiente calcistico nei dodici anni in questione.
Cacciati i reietti, la Juventus gli offre un ruolo, ma lui decide di lasciare.
La stagione successiva viene mandato a “farsi le ossa” in serie B nelle file del Varese dove incontra Niels Liedholm, l’uomo che riesce a farlo convinto d’essere un campione. Segna 13 reti e trascina i lombardi in serie A. Naturale a questo punto il suo ritorno a Torino, dove la società, sotto la gestione del duo Allodi-Boniperti, sta portando avanti un progetto basato sulla valorizzazione di giovani talenti da affidare ad un tecnico emergente: Armando Picchi. Con lui ci sono Antonello Cuccureddu, Franco Causio, Luciano Spinosi e Fabio Capello, tutti illuminati in campo dal genio di Helmut Haller. Bettega si trova a far coppia in attacco con Pietro Anastasi, vero rapinatore d’area. Il giovane non si intimorisce e mette in mostra tutte le sue doti: abile di testa, capace tecnicamente, dimostra anche un’incredibile visione di gioco che gli permette di essere sempre nel vivo della manovra offensiva della squadra. I primi due anni sono un crack, almeno fino a quando una devastante bronco-polmonite rischia di porre fine alla sua carriera, nonché alla sua vita.
L’arrivo di Josè Altafini nel 1972 e la continuità di rendimento di Anastasi sembrano precludergli gli spazi, ma Bettega, una volta tornato in forma, si rivela elemento indispensabile al gioco bianco-nero e a contendersi il posto saranno altri!
Sfiora la Coppa dei campioni nel 1973 e deve inchinarsi alla Lazio campione l’anno successivo.
Dopo il disastro azzurro ai mondiali in Germania Ovest, Bettega diventa uno dei calciatori sui quali Bernardini conta per ricostruire una nazionale degna di quella che ha sfiorato il mondiale in Messico. Ancora una volta deve sgomitare per guadagnarsi il posto: sono gli anni in cui impazza Giorgio Chinaglia e soprattutto la coppia granata Graziani-Pulici, un mix perfetto d’intelligenza e potenza fisica capace di garantire oltre 30 reti a stagione in un periodo in cui i gol piovono come l’acqua nel deserto.
Lo juventino, però, è uomo che non fa polemiche e che sa attendere il suo momento. Con l’inizio delle qualificazioni al mondiale d’Argentina entra stabilmente nella formazione titolare. Così come nella Juventus, il giocatore segna a raffica trascinando gli azzurri alla qualificazione.
In terra sud’americana raggiunge probabilmente il vertice della sua carriera, diventando, assieme a Paolo Rossi, il finalizzatore principe di una squadra che gioca probabilmente il miglior calcio dell’intera competizione iridata. Solo un calo fisico generale e qualche decisione discutibile contro l’Olanda, impediscono agli azzurri e a Bettega stesso di conquistare il massimo traguardo.
Nella stagione successiva Bettega inizia alla grande, ma un po’ come accade alla sua Juventus, le scorie del mondiale e di due anni di successi si fanno sentire e alla fine è solo terzo posto con Bettega autore di sole nove reti.
L’anno successivo va ancora peggio: la squadra non gira chiudendo il girone d’andata a centro classifica, e Bettega vede il suo posto in azzurro messo in pericolo dai giovani Rossi e Giordano, che assieme costituiscono un duo di piccoletti al fulmicotone.
Nel girone di ritorno Bettega risorge assieme alla sua Juventus e nell’anno dello scandalo scommesse che mette fuorigioco i due giovani talenti, conquista il titolo di capocannoniere e il posto in azzurro, in vista degli imminenti campionati d’Europa organizzati proprio dal nostro Paese.
La competizione continentale, terminata al quarto posto, si rivela una mezza delusione. Eccezion fatta per la bella vittoria ottenuta contro l’Inghilterra, gli azzurri non esprimono gioco e Bettega chiude la manifestazione senza aver realizzato un gol.
L’astenia da reti continua anche nel campionato seguente (il primo degli anni ottanta), ma nonostante i soli 5 sigilli stagionali, la Juventus conquista il suo diciannovesimo titolo. Le cose sembrano andare in maniera decisamente opposta nel campionato 1981-82: Bettega apre con una tripletta e dopo sei giornate, coronate da altrettante vittorie della sua Juve, ha già segnato cinque volte. Il fato, tuttavia, è dietro l’angolo: dopo la sconfitta subita in casa dalla Roma per 1 a 0, i Campioni d’Italia si recano in Belgio per affrontare l’Anderlecht. Un intervento assassino del portiere Munaron devasta i legamenti del giocatore. Per lui questa è l’ultima presenza stagionale. Fa di tutto per recuperare in vista del mondiale, assiste dalla tribuna alla conquista dello scudetto della seconda stella da parte della sua Juventus, ma i mondiali spagnoli dovrà seguirli dalla televisione. Al suo posto parte tale Franco Selvaggi che avrà la soddisfazione di far parte del gruppo che alzerà la Coppa del Mondo nella magica notte del Bernabeu, mentre Bettega, che quella squadra ha contribuito fattivamente a portare in Spagna, assiste allo spettacolo come molti di noi.
La stagione successiva si preannuncia ricca di soddisfazioni: alla Juventus arrivano gli assi Michel Platini e Zbignew Boniek, i quali dovrebbero completare un organico ricco di campioni del mondo facendone un’armata invincibile. Invece le scorie del mondiale e il difficile ambientamento dei due fuoriclasse stranieri modificano i piani di sfracelli. La Juventus zoppica in campionato, ma vola in Coppa dei campioni. Nella seconda parte della stagione, la squadra cresce fisicamente, Platini inizia ad esprimersi a livelli da re e gli uomini allenati da Trapattoni arrivano addirittura ad insidiare il trono della Roma di Falçao che vince lo scudetto. Alla fine è secondo posto col miglior attacco.
Con giocatori come Rossi, Platini e Boniek Bettega deve mutare il suo gioco, cosa che gli riesce magnificamente rivelandosi un ottimo suggeritore. Tutti assieme raggiungono la finale di Coppa dei campioni ad Atene. Contrariamente a dieci anni prima, quando di fronte c’era la grande Ajax, questa volta i piemontesi partono con i favori del pronostico. In Grecia, infatti, arriva l’Amburgo, compagine formata da campioni a fine carriera guidata in panchina da Hernst Happel, uno che ha sempre fatto del male al calcio italiano. Questa volta, però, tutto sembra propendere a favore di un successo juventino in quella che è diventata una maledizione. Al 12’, però, le cose si mettono male: Felix Magath, talentuosa mezz’ala, batte Zoff con una gran bordata da fuori area, tale Rolff annulla Platini e Bettega non riesce a pungere. Alla fine la Juventus vive una delle delusioni più cocenti della sua storia. La coppa Italia conquistata contro la rivelazione Verona serve solo a mitigare l’amarezza.
Per lui c’è anche un’ultima convocazione in nazionale: in Romania la formazione azzurra si gioca le residue speranze di accedere al campionato europeo di calcio organizzato dalla Francia nel 1984 e Bearzot, che ha visto i grandi progressi dell’esperto bomber, lo convoca per tentare l’impresa. Un gol di Boloni, invece, pone fine ad ogni velleità.
A 33 anni Bettega comprende che per lui lo spazio alla Juventus è poco e decide di emigrare, accettando le proposte dei Toronto Blizard, compagine che partecipa alla NASL, prendendo idealmente l’eredità di Giorgio Chinaglia che in estate, rilevata la presidenza della Lazio, dà l’addio al calcio giocato.
Disputa due campionati, ma un terribile incidente d’auto nell’inverno del 1984, mentre si trova in Italia per trascorrere le vacanze, pone fine definitivamente alla sua carriera.
Entra a far parte del mondo Juventus, come osservatore prima, e come dirigente dal 1994 al 2006 lavorando a fianco di Luciano Moggi e Giraudo, diventando il volto pulito della famigerata triade che molti sostengono aver falsato l’ambiente calcistico nei dodici anni in questione.
Cacciati i reietti, la Juventus gli offre un ruolo, ma lui decide di lasciare.